Meno del 70% degli utenti di Facebook legge veramente i contenuti di un post prima di condividerlo o commentarlo. Ci si ferma al titolo. Ci si ferma al nome dell’Influencer che l’ha scritto. E’ il risultato di uno studio che rivela una preoccupante superficialità individuale, sociale e culturale. Vediamo insieme quali possono essere le motivazioni psicologiche.
The Science Post ha pubblicato un recente studio della Minnesota Academy of Science and Art, condiviso inizialmente da Matteo G.P. Flora, che conferma ciò che gli esperti del settore suppongono da tempo. Solamente il 70% (precisamente il 68,4%) degli utenti di Facebook legge veramente il contenuto di un post prima di aggiungere una reazione, un like, un commento o di farne una condivisione. Ci si ferma al titolo.Tant’è che l’articolo originario non riporta altre informazioni dopo la notizia. Ottenendo, a sua volta, un numero esorbitante di condivisioni: ad oggi più di 50 mila.
Certo, chiunque abbia condiviso un post che conferma una ricerca esemplare e che procede con “Lorem ipsum dolor sit amet…” – il testo pseudo-casuale utilizzato da grafici, designer e programmatori – si è divertito. Ma a sua volta ha dato prova di quanto vengano letti solo i titoli e non i contenuti, dal momento che l’articolo procede in latino prendendosi beffe dell’originaria opera di Cicerone.Cerchiamo di approfondire le motivazioni di tale comportamento, per altro di quotidiana esperienza.
Sono tantissime, da un punto di vista sociale e psicologico, le cause di questo modo di “usare” i Social Network. Non si parla, infatti, solo di Facebook, ma di tutti i canali Social in cui i professionisti quotidianamente scrivono e vengono letti.
Retweettati, condivisi e, ancora più gravemente, commentati. Si commenta ciò che non si è letto. Si commenta anche ciò che si è letto e non si è capito.
Senza chiedere spiegazioni, senza approfondire da soli la materia, senza accettare e preferire il silenzio.
Chiedere spiegazioni e chiarimenti all’autore di un post è un po’ come ammettere di non sapere tutto. E non dovrebbe essere assolutamente così? Se – come si prevede – il futuro dei Social Network e dei Blog andrà sempre di più verso la verticalizzazione, verso la ricerca di una nicchia di utenti interessati a un solo genere di argomento, vince proprio chi resta specializzato in una competenza distintiva, che appaghi un solo segmento di mercato. Ne consegue, quindi, che sapere tutto non solo è umanamente impossibile, ma in Rete è un atteggiamento perdente e disprezzabile.
Il primo motivo – senza volersi addentrare nelle controversie del caso – è senz’altro legato al concetto di Influencer. Appena si trova il nuovo post di un Influencer parte di default il primo like e il primo commento. Di cosa stia parlando l’Influencer lo dice il titolo, e questo è sufficiente. Il 70% delle persone non va oltre al titolo, anzi, non va neppure oltre al nome dell’Influencer. L’Influencer sta al “gioco”? Sì, perché conosce perfettamente questo fenomeno e i suoi numeri aumentano. Aumenta l’engagment, buono o cattivo che sia. Quanti esprimano concretamente la loro frustrazione, pur garbatamente parlando, perché i commenti ricevuti non c’entrano nulla col contenuto lo lascio dire a voi. Personalmente – Influencer o meno – quando dai commenti mi accorgo che il mio post è stato veramente letto e compreso per prima cosa mi stupisco, e per seconda ringrazio. Ringrazio molto. Perché è solo allora che la mia pubblicazione sul Blog e su un Social Network ha avuto il senso atteso: l’interazione. L’interagire di opinioni anche contrastanti. Anzi meglio: ci si confronta e si impara reciprocamente qualcosa di nuovo. Si lavora per il giusto scopo: crescere, creare nuove idee, fare Innovazione.
Il bisogno di fare parte di un gruppo, di non essere esclusi dal gruppo è prevalente. Ecco la seconda motivazione. E’ un bisogno che, tuttavia, si scontra con un’altra esigenza umana fondamentale: quella di distinguersi dal gruppo. Far emergere la propria unicità. Sono le nostre due facce sociali e psicologiche e, ovviamente, si riflettono nel comportamento sui Social Network come in ogni modo di relazionarsi offline. Non condividere e soprattutto non commentare un post che è popolare è come non esistere per il mondo del Web. Non dire la propria è quindi non esistere. Una paura immensa: non vera, ma reale. Nulla di più falso, e – professionalmente parlando – di più sconveniente. Perché commentare fermandosi a leggere solo il titolo – che magari è una provocazione, e naturalmente è dettato da esigenze SEO – rivela in pieno la superficialità del proprio comportamento.
Una superficialità estremamente dannosa a livello sociale e culturale, ancor più in un mondo come quello dei Social Network, dove il flusso di informazioni e di pubblicazioni è velocissimo e in cambiamento costante. Uno dei coautori dello studio, Arnaud Legout, sostiene infatti che
Nella cultura di oggi, le persone formano le loro opinioni senza fare nessuno sforzo per andare più in profondità“.
Una superficialità che psicologicamente parlando, tuttavia, si riconduce più che altro a una forte insicurezza personale. La maggior parte dei commenti non adeguati ai contenuti, infatti, riflette il bisogno di apparire e di ricevere approvazione sociale coi successivi like e commenti. Una carenza di autostima mascherata molto bene, dal momento che in ogni caso – e soprattutto su Facebook – ogni commento può diventare un gioco. E questo è sanissimo: l’ironia, l’autoironia, il mettere sul ridere e sdrammatizzare i post è fondamentale. E’ così che si instaurano le relazioni virtuali, che nascono amicizie che spesso si concretizzano offline. Il gioco è sempre qualcosa di estremamente sano, nel nostro lavoro come nella realtà. E non solo perché conduce alla creatività e al pensiero laterale, ma perché ci fa rimanere autentici.
C’è una trappola, però. Un limite sottile quanto fastidioso e spinoso tra lo scherzare – lo scherzare lavorando – e la ricerca di una gratificazione personale. Che sia immediata. Nella comunicazione online, dove l’iperconnessione ha cambiato il modo di interagire, il bisogno di rinforzi positivi alla propria autostima si esprime proprio in una richiesta di riconoscimento immediato. E questo riconoscimento sui Social Network arriva effettivamente in tempo reale. Una soluzione magica per innalzare l’autostima? No. Perché la dimensione temporale delle interazioni è talmente fugace da non poter certo colmare vuoti o necessità personali non affrontate interiormente.
Un’ulteriore riflessione riguarda la qualità delle emozioni che maggiormente spingono a commentare post non letti. Sono i titoli che rimandano ad espressioni di felicità, spensieratezza e positività quelli maggiormente condivisi, subito seguiti da quelli che generano, invece, ansia, paura e rabbia. Non solo si è in cerca di belle notizie, quindi, ma anche di mantenere aperto un canale che sia di sfogo all’aggressività.
Ancora una volta, le motivazioni psicologiche del comportamento sui Social Network sono inscindibilmente legate al mondo emozionale. Sono le paure, le insicurezze, gli stati d’animo anche passeggeri a dettare il modo di vedere il mondo e lavorare. E la superficialità diventa, paradossalmente, un ottimo scudo per nascondere l’identità reale e proiettarne nel mondo una migliore. Una maschera che serve soltanto a se stessi e non certo al proprio successo professionale.