di Giacomo Buoncompagni
presidente Aiart Macerata
Ricercatore LUMSA
Fin dalle primissime edizioni il Festival di Sanremo si è inserito nella cultura televisiva italiana come media event, evento mediale, definizione rubata ai sociologi Dayan e Katz (1987) per definire “i giorni di festa della comunicazione di massa”. Si tratta dunque di un avvenimento di portata storica che la televisione trasmette in diretta concentrandovi l’interesse di una nazione o del mondo intero.
Nell’era dell’iper-comunicazione, alla visione glocale del festival, si aggiungono una serie di pratiche mediali partecipative, da parte di molteplici pubblici, con il supporto dei social media: interazioni, commenti, retroscena, meme, manipolazioni e distorsioni di immagini che riguardano canzoni, artisti, ospiti e presentatori.
Arrivati alla 72ᵃ edizione, nel 2022, sembra ancora essere la televisione però la regina del contesto comunicativo che ospita e trasmette, sfoggiando tutte le sue logiche, il grande evento musicale.
È la televisione che prova di nuovo a definire l’interscambio tra immagine e istantaneità a una perfezione indiscutibile, a tratti pericolosa, dentro le nostre case. La musica sul palco e tutte le discussioni/questioni sociali e politiche che le girano attorno (sempre che consideriamo ancora le canzoni il vero fulcro del festival) trovano la loro strada nel medium televisivo, e ciò significa che tutta la comprensione pubblica dei temi emersi in queste serate è modellata secondo le sue distorsioni. E non dai contenuti condivisi nelle piattaforme.
Tutto ciò che apprendiamo nella settimana della canzone italiana lo apprendiamo in modo particolare dalla televisione che ancora una volta cerca di consolidare la sua posizione come “meta-mezzo”, uno strumento che non soltanto è la guida della nostra conoscenza del “mondo-festival”, ma anche la nostra conoscenza sui modi di conoscere.
Gaffe, critiche, le questioni spinose sull’omofobia o il razzismo, più volte emerse in questi giorni, scivolano via, sfuggono a una riflessione e discussione critica.
Questo perché anche nel 2022 la televisione (e non la Rete) si fa spazio nella storia dei media globali e si conferma come “Mito”. Per il semiologo Roland Barthes un mito è un modo non problematico di pensare il mondo, talmente conficcato nella nostra coscienza da risultare invisibile. Ci limitiamo per qualche ora, prima di andare a letto, a discutere (online) dei contenuti del Festival, ma non mettiamo in dubbio la realtà di ciò che vediamo. Siamo assolutamente inconsapevoli che offre un angolo di visuale tutto particolare.
Abbiamo accettato così completamente le sue condizioni di verità, di conoscenza, di realtà, che ogni cosa detta e trasmessa, soprattutto la più irrilevante, non solo intrattiene, ma ci appare come piena di importanza.
La televisione, il festival di Sanremo in tv, sono la nostra cultura e rappresentano quel mondo del “cucù” che hanno costruito attorno a noi, a tal punto che tutto ciò che viene trasmesso non ci sembra più così strano.
La tv, dunque, appare come un medium tutt’altro che superato, è la metafora attiva che trasforma la nostra esperienza quotidiana e il nostro presente.