Le elezioni americane saranno l’otto novembre. Il referendum costituzionale Italiano sarà il quattro dicembre. Questo vuol dire che abbiamo di fronte una raffica di dibattiti politici e un’ulteriore, e con ogni probabilità maggiore, raffica di dibattiti sull’esito dei dibattiti.
Alla fine, dovremmo tutti avere idee chiarissime. O, forse, no.
DISCUTERE, DIBATTERE E DIALOGARE. Facciamo un passo indietro: in quanti modi possiamo parlare di una questione controversa? Beh, ne discutiamo se intendiamo esaminarne ogni aspetto in modo approfondito. Ne dibattiamo per mettere a confronto idee e posizioni diverse, per poterle valutare e per poterci schierare per l’una o per l’altra. Se scegliamo invece di dialogarne, allora l’obiettivo è raggiungere un accordo, minimizzando le diversità e superandole.
OBIETTIVO: PREVALERE. Dunque, lo scopo di chi partecipa a un dibattito è rimarcare le differenze e prevalere, offrendo al pubblico argomentazioni più forti o più suggestive di quelle della parte avversa e convincendolo a schierarsi. Questo risultato si può ottenere sostanzialmente in due maniere: o presentando argomentazioni che appaiano migliori di quelle dell’avversario, o facendo in modo che le argomentazioni dell’avversario sembrino peggiori, o più deboli, delle proprie. La differenza è sottile, ma c’è. Nel secondo caso, per esempio, si può ottenere il risultato anche attraverso attacchi personali volti a diminuire la credibilità dell’avversario e a delegittimarlo minandone la reputazione, e mettendone in dubbio la buona fede, la preparazione, l’onestà…
Una variante è sabotare materialmente l’avversario, interrompendolo o coprendo la sua voce con la propria, o insultandolo. Si può perfino sabotare l’intero dibattito producendo sproloqui privi di senso.
STRATAGEMMI PER PREVALERE. Nell’Arte di ottenere ragione, Arthur Schopenhauer elenca una serie di stratagemmi interessanti e tutt’ora efficaci e ampiamente usati nei dibattiti contemporanei. Poiché scrive in tempi pre-televisivi, trascura però del tutto l’importanza del linguaggio del corpo, che pure conta molto: un’espressione annoiata, scandalizzata o sbalordita può funzionare quanto (e anche più di) un’obiezione ben formulata.
Dovrebbe essere implicito che chi, dibattendo, usa di preferenza o soltanto questi stratagemmi in realtà dispone di argomentazioni deboli: stateci attenti. Dovrebbe anche risultare evidente che i dibattiti servono soprattutto a orientare le persone indecise e influiscono molto poco sulle tifoserie consolidate. Il motivo è semplice, e il suo nome è bias di conferma.
IL BIAS DI CONFERMA. Il bias di conferma è forse la più potente e diffusa delle trappole cognitive, cioè dei modi in cui ci inganniamo da soli. Il bias è ampiamente noto, non solo agli scienziati ma a chiunque si occupi di dinamiche della comunicazione, e perfino agli algoritmi che scelgono che cosa mostrarci su Facebook. Consiste nella propensione a cercare dichiarazioni e fatti che confermino le nostre opinioni pregresse e le nostre credenze, e a ignorare tutto il resto, non importa quanto evidente o convincente sia.
Torniamo agli indecisi. E arruoliamo tra gli indecisi anche le persone che hanno un’opinione, ma sono onestamente disposte a verificarne la fondatezza. La NPR (National Public Radio) pubblica alcune dritte su come guardare un dibattito scansando i bias. Sono interessanti e ve le riassumo, aggiungendo qualche commento.
ASPETTO FISICO E STEREOTIPI DI GENERE. Prima di tutto, cercate di non farvi troppo influenzare dall’aspetto fisico. Per esempio, nella percezione comune le persone più alte tendono ad apparire più autorevoli e ad avere maggior successo. Questo fatto, ovviamente, conta assai meno se i contendenti sono seduti. Anche gli stereotipi di genere hanno un peso, ed è stato dimostrato: non dimentichiamoci, per esempio, che all’inizio della sua campagna elettorale Clinton è stata oggetto di attacchi feroci e indecenti per il suo aspetto.
Un altro esempio: l’assertività viene giudicata positivamente se a essere assertivo è un uomo, mentre lo stesso comportamento, in una donna, può essere etichettato come aggressivo o arrogante. Una buona sintesi si trova in questo spot filippino.
SVILUPPO E COMPLESSITÀ. Poi: tendiamo a ricordare di più l’inizio e la fine di qualsiasi cosa (uno spettacolo, una cena, una vacanza, e anche un dibattito) e a trascurare quanto succede nel mezzo. Anche i resoconti dei mass media ricalcano questa tendenza. Su, state attenti e cercate di intercettare lo sviluppo del dibattito nel suo sviluppo, e nel suo insieme.
E ancora: spesso gli argomenti di cui si dibatte sono complessi. Noi che ascoltiamo presumiamo di saperne abbastanza, ma non sempre è vero. Per verificare che abbiamo capito di che si tratta, proviamo a spiegarli con parole nostre a qualcun altro, o anche a noi stessi. Aggiungo che sarebbe bello se anche i giornali facessero sempre così.
PRESTARE ATTENZIONE. Infine: non facciamoci ingannare dal grado di convinzione con cui le cose vengono dette (e, spesso, ripetute), dalle certezze dichiarate e ribadite senza evidenza, dall’ostinazione e dalle esagerazioni. E non facciamoci fuorviare dall’autorevolezza implicita nel ruolo o nella storia personale. Se leggendo quest’ultima frase vi viene automaticamente in mente qualcuno, domandatevi se per caso non avete un bias contro il qualcuno che vi è venuto in mente e, chiunque sia, disponetevi ad ascoltarne le ragioni con un di più di attenzione.
CONVINCERE IL PUBBLICO. A proposito di ciò che invece convince – o meno – le persone, il Washington Post pubblica un bellissimo articolo, che dà conto dei risultati sperimentali ottenuti osservando l’andamento di una serie di dibattiti online. È un testo che anche chi partecipa a dibattiti farebbe bene a leggersi, perché alcune conclusioni possono, credo, essere generalizzate.
Risulta che, per esempio, le obiezioni tempestive sono più efficaci di quelle tardive. Che insistere a lungo sullo stesso argomento, ribadendo troppe volte le proprie posizioni, non è convincente. Che risposte articolate convincono più delle risposte brevi. Che fare esempi specifici è d’aiuto, mentre non aiuta porre domande retoriche o citare autorità esterne. Che parlare in prima persona singolare (io) è più convincente che usare la prima persona plurale (noi). E che essere cortesi e usare toni morbidi funziona meglio.
Se vedo che questo argomento vi interessa, o se ricevo qualche domanda specifica, lo riprenderò ancora.