La solita vecchia pornografia
Quest’anno la 52^ mostra del Nuovo Cinema di Pesaro ha voluto inserire nel programma un film pornografico (Queen Kong) e una tavola rotonda dedicata al porno italiano. Da settimane in città si parla solo di questo. Ma perché così tanto interesse? Dopotutto si tratta di un corto di appena 20 minuti su un festival di una settimana intera. In realtà sembrerebbe una precisa strategia della direzione artistica che di certo ha scommesso moltissimo su questa “novità”, basti pensare che alla presentazione al Farnese di Roma dell’intero programma, ha scelto di proiettare in anteprima per la stampa solo “Queen Kong” definendolo un capolavoro dell’arte.
Il nostro giornale è stato il primo a muovere critiche ma solo sul piano culturale. Non abbiamo toccato aspetti moralistici. Chi ci conosce sa che ormai da anni è questo il nostro stile anche se ad alcuni fa comodo screditarci col pregiudizio dell’appartenenza cattolica. Infatti la direzione della mostra del cinema ha usato i nostri articoli per gridare alla censura (e fa un certo effetto sentirlo dire da chi, sulla pagina Facebook della mostra, cancella meticolosamente i post negativi scritti dalla gente).
In realtà non abbiamo mai chiesto di censurare nulla, anzi. Può apparire paradossale ma con i nostri articoli, usciti apposta con largo anticipo, volevamo anche noi riempire lo Sperimentale e portare più gente possibile a vedere “Queen Kong”. È davvero un capolavoro artistico e culturale? Ha un messaggio educativo? Questo argomentavano gli organizzatori ma non la critica vera che, come dice lo stesso Adriano Aprà, è ridotta a “macerie”.
Dopo il consueto percorso di accreditamento in uno dei tanti festival stranieri, Pesaro aveva il compito di consacrare questa pellicola in modo che venisse sdoganata in Italia “patria dell’arretratezza”. Chi potrà un domani criticare un film che passa al vaglio di un prestigioso festival pagato coi soldi di casa nostra? Chi oserà dire che il re è nudo? Forse il popolino di Pesaro? E così, al primo accenno di critica, la regista di questo film ha bollato l’intera città come provinciale, esortando il Festival a portare alta la bandiera della libertà di “espressione artistica”.
Ma se “Pesaro è luogo dello spirito”, riprendendo il grande Pasolini, è anche vero che viviamo in un luogo fisico, fatto di persone. Dipingere i pesaresi come “provinciali” e “borghesi” ha rischiato di censurare la libera espressione di chi a Pesaro contribuisce ogni giorno alla sua crescita anche dal punto di vista culturale e artistico. Le nostre istituzioni dovrebbero andare fiere di come la cittadinanza partecipa attivamente e criticamente a ciò che gli viene fatto passare come cultura. Ma forse è meglio l’indifferenza e il silenzio di comodo?
Ecco perché abbiamo deciso di coinvolgere sull’intera vicenda due donne, tra le più autorevoli del nostro panorama. Due personalità libere da logiche politiche e al di fuori del mondo cattolico. Intellettuali super partes da sempre impegnate sul fronte dei diritti e voci cristalline in merito al ruolo della donna. Grazia Calegari, affermato critico di arti visive e Silvia Cecchi, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pesaro e membro della Commissione per le pari opportunità dell’Associazione Nazionale Magistrati.
La direzione (Il Nuovo Amico – Pesaro)
GRAZIA CALEGARI TRA I MASSIMI ESPERTI DI ARTI VISIVE A PESARO
Questo film non è arte ma
a Pesaro non si può dire
Professoressa Calegari, la pellicola pornografica “Queen Kong” è stata definita dai suoi produttori come un capolavoro artistico. Lei che è tra i massimi esperti di arti visive a Pesaro e che ha visto nascere la mostra del cinema in questa città che giudizio ne dà dopo aver visionato il cortometraggio?
Sono sconcertata dalla banalità che spesso sfiora il ridicolo in alcune scene. Si voleva forse solo il can can mediatico, che è stato montato ad arte per veicolare l’intero festival. Ma il film non meritava alcun tipo di attenzione.
Il direttore artistico del festival, Pedro Armocida, ha rivendicato la scelta definendola culturale. E la stessa direzione della mostra è sembrata infastidita dalle critiche bollandole addirittura come tentativi di censura. Secondo lei una città come Pesaro non dovrebbe avere un ruolo nell’esprimere un suo giudizio?
Ci mancherebbe altro che non avessimo più il diritto di esprimere i nostri pareri. Qui il discorso si fa molto pesante perché è evidente che siamo condizionati in maniera eccessiva da una cortina ideologico-politica. Quindi se qualche voce libera culturalmente e politicamente ha voglia di dire qualcosa di diverso, eccome se lo deve dire! Fa molto riflettere e preoccupa il fatto che nella nostra città si stia perdendo il gusto della parola e del giudizio.
Ripenso alle prime edizioni del festival e ai dibattiti, anche pateticamente interminabili, che coinvolgevano anche i giovani e che erano comunque uno stimolo all’analisi visiva e al confronto delle idee.
Veniamo alla trama del film. La novità starebbe nel ribaltamento dei ruoli. La donna attiva e “bestiale” che si prende l’uomo con la forza. Lei da donna di cultura che messaggio ha letto in questa pellicola?
La donna attiva e bestiale mi ha fatto ricordare vari repertori medievali riconducibili anche alle arti visive del Seicento. Cito la Chiesa del Nome di Dio a Pesaro dove i diavoli sono rappresentati esattamente come la protagonista di Queen Kong: orecchie a punta, coda, corna … Non so come si possa parlare di novità in senso cinematografico e visivo perché non c’è proprio niente di nuovo. Pescare nei secoli passati dovrebbe essere una scelta moderna?
In un’epoca dominata dalla pornografia on line c’era bisogno di portarla anche in un festival istituzionale?
Questo è il problema di fondo. C’era bisogno? Se non a livello commerciale? Per me no ma secondo loro sì. È però una pura operazione di marketing e di propaganda. Insisto su questo concetto perché mi sembra fondamentale. Quindi parlarne ancora fa solo il loro gioco. Però capisco che la città ha bisogno di voci di dissenso perché il silenzio può apparire consenso. Un tempo la mostra viveva di dibattito e confronto critico ma oggi cosa rimane di quella apertura al pubblico?
La proiezione del film è stata preceduta da una serie di interviste alla regista e alla pornostar in cui emerge il tema della valenza liberatoria della pornografia come conquista dell’emancipazione femminile.
La tristezza aumenta riflettendo in questi termini. Di certo l’emancipazione femminile non è questa banalità. Anzi operazioni del genere rischiano di cancellare in un attimo il contributo che nella storia le donne hanno dato alla crescita di questo Paese. Un grave danno soprattutto per le giovani generazioni. Né questo film né il progetto del porno al femminile hanno nulla a che vedere con l’emancipazione delle donne. Piuttosto allontanano dal concetto stesso di femminilità
Un’ultima domanda sul ruolo dell’uomo nel film dove viene rappresentato come una sorta di alcolizzato e nel corso della tavola rotonda chiamato “gonzo”.
Certamente se nel film è svilita la figura femminile, ciò avviene in misura quasi peggiore anche per quella maschile.
A cura di Roberto Mazzoli
SILVIA CECCHI SOSTITUTO PROCURATORE E MEMBRO DELLE PARI OPPORTUNITÀ ANM
Pellicola anti femminile
e cinema di retroguardia
Dottoressa Cecchi, lei come Sostituto Procuratore della Repubblica è abituata a giudicare in modo oggettivo, come valuta la pellicola pornografica Queen Kong recentemente proiettata alla 52^ mostra del cinema di Pesaro?
Come prodotto filmico si vede una certa perizia nell’uso della cinepresa, e la mostra poteva aprirsi anche ad un esperimento sociologico perché si attesta l’esistenza di una corrente in questa direzione.
Gli autori della pellicola e il direttore della mostra hanno definito il cortometraggio come un capolavoro artistico. Lei cosa ne pensa?
L’opera d’arte è auto-significante. Può anche provocare repulsione ma deve accrescere un minimo di conoscenza o al limite metterci in crisi. Questa pellicola non mi ha dato nulla di tutto ciò.
Lei pensa che la città aveva il diritto di esprimersi sulla mostra?
Certo, ma in questo caso il pubblico è stato messo in difficoltà. Regista e attori hanno proposto un’interpretazione minimale del cortometraggio. È mancato uno spazio interlocutorio, forse per imbarazzo, immaginando che il pubblico potesse avere pregiudizi. Il messaggio è stato presentato con una carica tale che probabilmente ha scoraggiato gli interventi di chi non abbia voluto sentirsi tacciare di retroguardia. Ma questa proposta non è certamente di avanguardia.
Lei cosa avrebbe suggerito?
Visto che sapevano di proporre un tema di rottura, avrebbero potuto interpellare maggiormente il pubblico. Non possono immaginare che le loro fantasie private coincidano con quelle di tutti. Sarebbe stato opportuno un contraddittorio. Mi sarebbe piaciuto intervenire pubblicamente ma la tavola rotonda era piuttosto autoreferenziale.
Cosa ne pensa dell’opportunità di proporre un prodotto porno in una mostra del cinema?
Chi come me è contrario a ogni censura è interessato più a elaborare il significato del prodotto presentato che non a considerare la sua opportunità di renderlo pubblico. Ma in un’epoca come la nostra in cui aumentano per esempio i femminicidi sarei piuttosto preoccupata di un genere che deliberatamente sceglie di alimentarsi di un fondo libidico che è contiguo allo stesso fondo libidico di cui si alimenta la violenza.
Cosa manca in questa proposta cinematografica?
Il soggetto femminile. La donna è raffigurata con lo stereotipo della “strega” e del fantasma quasi demoniaco. Non si potrebbe andare più indietro di così. Di erotismo c’è poco. La protagonista mi sembra solo l’oggetto di una fantasia maschile. Tanto più che è sdoppiata in due identità.
Ma la pornostar Valentina Nappi dice che il protagonista non è l’uomo visto che si tratta “di uno stupro su un maschio”.
Io non ho letto il film in questa chiave perché sarebbe stato ancora più grave, per il collegamento diretto alla violenza. Il ruolo attivo e passivo non coincidono con la soggettività e il suo contrario Qui c’è un grosso equivoco. Nel film c’è una mancanza di consapevolezza sul significato di soggettività soprattutto femminile. Non a caso emerge una forte contraddizione di vedute negli stessi attori: Luca Lionello ha evocato un senso di morte mentre per Valentina Nappi sembravano prevalere leggerezza e vena ironica.
Cosa significa stereotipo femminile legato al demonio?
Chiunque avesse letto i verbali di un procedimento di stregoneria medievale sa che questi sono pieni di annotazioni pornografiche in senso stretto. Le donne erano costrette ad ammettere di avere il demonio dentro. I particolari anatomici scabrosi suscitavano ossessioni “pornografiche”: l’operazione di cui parliamo, letta in questa chiave, appare di una vetustà sconcertante. Al film si potrebbe riconoscere semmai un tentativo estetico espressionista ma non basta la musica di Chopin a dare una patente poetica al cortometraggio…
La direzione della mostra ha ipotizzato anche un aspetto educativo
Anche in campo pedagogico non metto censure, ma l’educazione deve prendere le mosse dalla integrazione delle realtà che compongono la persona umana, a cominciare dall’affettività, altrimenti si cade nell’ideologia.
La mostra ha scelto la pellicola anche per l’aspetto liberatorio dal tabù del sesso
Ma oggi ci sono tabù più grandi di quello sessuale: il denaro per esempio è un tabù fortissimo. Per me non ci sarebbe stato niente di male nel dichiarare che un’operazione pornografica come questa è legata anche al “buon cachet” che essa assicura: ma questo non viene facilmente detto proprio a causa di un tabù. Per quanto riguarda il tabù sessuale, il film non mi appare particolarmente liberatorio.
Qualcuno ha letto nel film la rivalsa della donna sull’uomo
Il pensiero femminile da più di un secolo rivendica piuttosto il rispetto delle differenze, rispetto al quale un revanscismo non apporterebbe alcuna aggiunta di valore. La donna è pacifica per natura. La nostra cultura soffre semmai dell’incapacità ad integrare affettività e sessualità. Nella pornografia vi è la de-contestualizzazione di un aspetto della persona rispetto all’altro. Nell’erotismo e nell’amore c’è invece integrazione tra corpo e spirito. La pornografia deliberatamente sceglie di separare le due sfere. E questo lo vediamo bene nei giovani che spesso addirittura si dolgono di una riduzione di entrambi i generi (femminile e maschile) ad una stessa parte indifferenziata, il cui unico polo dialettico di riferimento opposto è costituito da un pervasivo nichilismo edonistico: come mi diceva proprio mia figlia Angioletta, interpretando i sentimenti contraddittori della sua generazione.
Josè Saramago diceva “se l’etica smette di governare la ragione, la ragione finirà per disprezzare l’etica”. Questa operazione di deliberata separazione mi preoccupa perché quando si elimina l’affettività il tema sessuale diventa meccanicamente pornografico e fa un passo indietro nella costruzione del soggetto, maschile o femminile che sia.
Come definirebbe il messaggio femminile nel film?
Confuso e anti femminile. Il film appare tenebroso, dice una sessualità antigioiosa e quasi demoniaca: sono le antiche paure del maschio che Fellini ha saputo esprimere così bene.
Lei fa parte anche della Commissione per le pari opportunità dell’Associazione Nazionale Magistrati.
Sì e nel suo ambito ci interroghiamo sui rapporti tra donna e potere, per esempio, e sul contributo femminile ai risultati della stessa attività della giurisdizione.
Qual è la sfida della modernità?
La vera avanguardia è riuscire a capire come due mondi così lontani come quello maschile e femminile riescano ad integrarsi per tirare fuori il meglio da ciascuno. La via della costruzione di una relazione qualitativamente alta tra uomo e donna non conosce a mio avviso scorciatoie facili. La donna ha una predisposizione naturale e culturale all’integrazione delle varie parti del sé, ad un linguaggio del corpo, alla valorizzazione del corpo-anima, in tutti i suoi segni, anche i segni del tempo e della sofferenza, dell’impegno e della maternità.
A cura di Roberto Mazzoli