Che bello, Inside Out. Intelligente, coinvolgente, curato, spesso imprevedibile. Bello, ma non è un film per bambini.
La concretizzazione dei processi cognitivi ed emotivi dei più piccoli – già sperimentata dalla Pixar in Monsters & co. grazie alla concretissima spiegazione della paura del mostro nell’armadio – assume qui una vera e propria centralità, grazie al “dentro/fuori” di Riley, la preadolescente protagonista del film.
Una sorta di Esplorando il corpo umano, decisamente meno didascalica, estremamente più creativa, divertente e tutta incentrata sui processi emotivi che governano la crescita e lo sviluppo.
Per i genitori, una vera manna dal cielo.
Il film, infatti, riesce a trasmettere una rappresentazione tanto fantasiosa quanto realistica della crescita e dei processi che la governano: le paure, le sicurezze, l’importanza della famiglia come luogo dell’affetto e della condivisione e – ciliegina sulla torta – l’importanza di un equilibrio tra tutte le emozioni, e non solo tra quelle piacevoli, come la gioia e la felicità.
Inside Out è quindi un vero e proprio inno alla capacità di trovare dentro di sé, e nella relazione affettiva, la possibilità di superare ostacoli apparentemente insormontabili, in particolare nel periodo complicato dell’adolescenza, alla faccia dei sostenitori dello psicofarmaco facile.
È, insomma, un film che bisognerebbe far vedere a tutti i genitori, e che tutti i genitori apprezzeranno.
Ma i bambini? La sensazione è che gli spettatori sotto gli otto anni di età, di Inside Out possano comprendere davvero poco. Certo, ameranno i personaggi buffi come Rabbia, o delicati come Gioia, o pasticcioni come Bing Bong, l’amico immaginario di Riley.
Resteranno incantati dalla bellezza delle scene, e rideranno alle immancabili scivolate e alle facciate sul vetro.
Ma non avranno alcuna possibilità di comprendere a fondo – e forse neanche molto in superficie – il messaggio di questa trama complessa.
Inside Out parla agli adulti, mostrando il processo cognitivo dei bambini. Ammicca al rapporto di coppia, fatto anche di continui salti emotivi, che solo un adulto sa comprendere.
Parla di inconscio, di isole della personalità, di ricordi che scompaiono, di ricordi e deja vù con cui noi, persone mature, facciamo perennemente i conti. Ma di cui i bambini non sono minimamente coscienti, come del resto è giusto che sia.
I più piccoli, infatti – lo spiega bene il film – hanno già il loro bel daffare a gestire tutti questi processi in perenne evoluzione e non hanno, né dovrebbero avere, gli strumenti per razionalizzarli.
Ecco, quindi che, in mezzo agli applausi alla Pixar per aver saputo sfornare l’ennesimo prodotto profondo e pensato, resta una punta di amarezza nell’uscire dal cinema insieme a genitori esaltati e a bambini decisamente poco coinvolti.
A essere davvero coraggiosi, bisognerebbe avere il coraggio (sconsigliato da ogni logica di marketing) di differenziare il target.
Un lungometraggio all’anno dedicato ai genitori o, in generale, agli adulti, che ne potranno godere le molteplici sfaccettature ironiche.
Ma anche un ritorno all’antico: una produzione altrettanto curata di film di animazione con trame non stupide, non banali, non leziose, non stereotipate. Ma comprensibili ai più piccoli.
Storie di amicizia, storie di viaggio, storie di piccoli amori fantastici, storie di accoglienza e di magia, di superamento degli ostacoli e delle paure. Trame semplici ma profonde, come quelle delle fiabe popolari o dei film di qualche decennio fa. Da produrre, però, con la stessa eccelsa qualità dei prodotti a cui la Pixar ci ha abituati.
Noi, che siamo stati bambini qualche anno fa, paghiamo infatti un biglietto per andare al cinema a vedere cose che ancora nessuno aveva saputo raccontarci. Per questo scegliamo Inside Out, e usciamo dal cinema felici e soddisfatti.
Ma i nostri bambini sono piccoli per la prima volta. Basterebbe ascoltare un po’ di più le loro emozioni, e un po’ meno i consulenti di marketing, per capire che non chiedono altro che belle storie nelle quali avere la capacità di immedesimarsi, per crescere.
Una complicata trama di rappresentazione dei processi cognitivi non rientra in questo parametro.