I big della Rete possiedono più informazioni su di noi di quanto immaginiamo. Hanno capitali ormai sconfinati e decidono cosa possiamo pubblicare on line e cosa no. E stanno diventando più potenti delle democrazie.
Qalcuno lo dice da tempo, come il venture capitalist Peter Thiel, già cofondatore di PayPal: «La libertà non è compatibile con la democrazia». Altri ci sono arrivati più di recente, come l’ingegnere di Google Justine Tanney, che ha proposto di trasferire tutto il potere amministrativo Usa all’industria hi-tech, con un Ceo al posto del presidente eletto.
Qualcun altro ci ha creato un progetto, come Patri Friedman, nipote dell’economista Milton e inventore dello SeaSteading Institute, la cui missione è costruire città nell’Oceano dove sperimentare sistemi politico-tecnologici senza aver tra i piedi lo Stato, con le sue noiose regole. Insomma, è il momento di «assaltare la cattedrale» e di mettere in dubbio «il dogma delle democrazia», considerata una forma di governo ormai inadatta «al libero sviluppo» delle menti migliori, della nuova élite che sta al piano più alto della Silicon Valley. E che, se liberata dai famosi “laccioli”, sarebbe in grado di sconfiggere i mali dell’umanità molto meglio dei politici. Il fondatore di WikiLeaks su "Big G."Negli ultimi 15 anni Google è cresciuto dentro Internet come un parassita"
Quella dei “tecnolibertarian” californiani e dei loro finanziatori può sembrare la battaglia eccentrica di una frangia estrema: gente che ha fatto troppi soldi passando troppe ore sui pc. Ma non è proprio così. Perché se qualche tycoon digitale lo scrive apertamente, altri stanno spostando la realtà verso lo stesso obiettivo senza dichiarazioni pubbliche né “think tank”. Semplicemente facendolo, cioè rendendo le aziende della Silicon Valley centri di potere effettivo, come e più degli Stati nei quali operano. Una trasformazione silenziosa che passa attraverso il controllo dei dati personali di miliardi di persone, un accumulo di capitali che non ha precedenti e l’immensa forza derivante dal fatto che i loro prodotti - motori di ricerca, mail, social network etc - sono sempre più indispensabili nella vita quotidiana di tutti. E se oggi si facesse un referendum per chiedere se rinunciare a Facebook o al Parlamento, chissà come andrebbe a finire. «Sì, la nostra ambizione è questa. E lo faremo con la Rete, i robot, l’intelligenza artificiale». Parla il cofondatore di Google
La questione va un po’ oltre l’annoso dibattito fra “tecnoscettici” e “tecnoentusiasti”: cioè fra chi enfatizza le conseguenze positive della Rete e chi quelle negative. È ormai scontato che il Web è parte della nostra vita: e la possibilità di rimanere senza è confinata a romanzi di fantascienza come il recente “Internet Apocalypse”, di Wayne Gladstone. Il problema non è quindi se essere “a favore o contro” la Rete, ma è capire se i suoi principali attori - cioè le big company della tecnologia - non stiano andando oggi oltre ogni prevedibile ruolo, incidendo un po’ troppo nella nostra esistenza individuale e collettiva. Per poi decidere, eventualmente, se così va bene a tutti o se qualcosa si può e si deve governare.
Il potere dei dati
Sappiamo da tempo che i comportamenti on line e i dati degli utenti vengono tracciati dai big della Rete per profilarli dal punto di vista pubblicitario, cioè per far apparire sui monitor di ciascuno inserzioni sempre più vicine ai suoi interessi: è in questo modo che Google ha conquistato quasi un terzo della torta pubblicitaria mondiale on line, seguita a distanza da Facebook, Yahoo e Microsoft; in Italia, l’azienda di Mountain View controlla una quota stimata addirittura al 55 per cento. Da qualche tempo il padre di Facebook ha avviato un'"operazione simpatia" che guarda verso la Cina, che ha messo al bando il social network dal 2009. E si spera che non porti a un compromesso al ribasso sui diritti degli utenti
Quello che invece fino a poco tempo fa non si sapeva era che l’enorme quantità di informazioni su ognuno di noi che viene raccolta da queste aziende non solo può essere passata ai servizi di un governo (scandalo Nsa) ma può anche finire nelle mani di altri soggetti privati, dato che il modo con cui le company gestiscono questi dati è sempre più ramificato, complesso ed esteso. L’ultima questione, ad esempio, riguarda le nuove policy di Facebook, che ampliano il potere di tracciamento da parte del social network in modo così ampio che l’utente difficilmente potrà raccapezzarsi e tenerne controllo.