Film aggressivi o a sfondo erotico in pieno pomeriggio. Telegiornali che mostrano scene pornografiche o raccontano esempi di violenza gratuita.
Talk show che nel cuore del giorno trasmettono servizi a luci rosse e affrontano la cronaca nera senza proteggere i piccoli protagonisti. Reality dove la volgarità è sia nel linguaggio, sia nei comportamenti. Oppure serie tv con macabre trame di omicidi o sequenze ad alto tasso sessuale. La televisione italiana dimentica i ragazzi. Pur di conquistare qualche decimo di share in più, editori e autori propongono di tutto e a qualsiasi ora, senza pensare che un programma mandato in onda in pieno pomeriggio o in prima serata ha come platea non solo gli adulti ma anche i bambini e i preadolescenti.
Poco contano i paletti alzati per tutelare i più piccoli davanti allo schermo. Perché le emittenti scelgono di aggirarli. Lo dimostrano le venticinque violazioni al codice di autoregolamentazione su tv e ragazzi che il Comitato Media e Minori presieduto da Maurizio Mensi ha accertato negli ultimi tre anni. Una cifra a cui si aggiungono quarantotto raccomandazioni per trasmissioni “nocive” proposte senza segnalazioni, in piena fascia protetta (dalle 16 alle 19), con pubblicità pericolose. Insomma una giungla mediatica che i network alimentano ma senza pagarne le conseguenze. Sono i dati del Comitato stesso a dirlo: nell’ultimo triennio l’organismo ha potuto “sanzionare” meno di trenta casi su 401 esaminati; invece nel solo 2011 gli episodi gravi accertati avevano superato i sessanta.
Le stazioni si sono improvvisamente convertite? Macché. Con il cambio di normativa sotto l’ultimo governo Berlusconi e poi con l’esecutivo Monti le reti hanno potuto liberalizzare i palinsesti grazie al “paracadute” del parental control: infatti alle emittenti è chiesto soltanto di invitare il pubblico ad attivare il filtro elettronico presente nei televisori di ultima generazione e la legge è rispettata. Ma non tutti i programmi passano sotto la fragile lente del parental control che, secondo le statistiche, appena un quarto delle famiglie italiane utilizza. Così basta un attimo per finire in balìa della “cattiva” tv.
Il maggior numero di violazioni è stato commesso dalle emittenti private: al primo posto si colloca Cielo di Sky con cinque infrazioni, seguita dall’ex Mtv e da Rai 2 con quattro a testa. Poi ci sono Canale 5 (con tre risoluzioni e sette raccomandazioni) e Italia 1 (due risoluzioni e ben dodici raccomandazioni). Sempre due le violazioni per Rai 3 e Rai 4, mentre ne totalizzano una ciascuno Rai 1 (ma ha sei raccomandazioni), Rainews24 e La7.
Non ci sono generi televisivi immuni. Il segmento più a rischio è quello dei film (28% dei casi). Altrettanto pericolosi i telefilm e persino i notiziari (un quinto delle violazioni). Da tenere sotto controllo anche i “contenitori” mattutini o pomeridiani e i reality insieme con i talent (15% a testa). Sono state soprattutto le pellicole inserite nel palinsesto ad aver fatto finire nel mirino del Comitato la rete in chiaro del gruppo Murdoch, ossia Cielo. All’ora di pranzo – denuncia l’organismo – sono state trasmesse «scene di sessualità esplicita», oppure alle 17.30 (durante la fascia protetta) si è puntato su «un ripetuto linguaggio scurrile». Altro caso censurato ha riguardato situazioni che hanno avuto al centro «un’immagine di donna offensiva e degradante». Che cosa ha risposto la stazione alle contestazioni? Di «non essere soggetta ai poteri di accertamento del Comitato» perché Sky non ha ancora firmato il codice di tutela dei minori.
Cinque sono stati i telegiornali che hanno infranto le regole: il Tg2 con un’inchiesta sul bullismo ad alta «drammaticità»; il Tg3 con il filmato di un bambino “jihadista” che uccide con la pistola due ostaggi; Rainews24 con il servizio su un film a «elevata valenza erotica»; Studio Aperto di Italia 1 con la cronaca di un infanticidio negli Usa; e il Tg La7 trasmettendo l’esecuzione capitale di prigionieri cinesi.
Da bollino rosso anche i programmi del mattino o del pomeriggio. Come Uno Mattina di Rai 1 che ha raccontato di bambini sottratti alle famiglie senza celarne l’identità – scrive il Comitato – oppure Domenica live di Canale 5 che ha stuzzicato gli spettatori con «pedofilia e perversioni sessuali» appena dopo pranzo. O ancora Verissimo, sempre di Canale 5, che affrontato il «cambio di sesso» di un ragazzo senza uno stile «rispettoso della sensibilità dei minori», nota l’organismo.
L’ex Mtv (oggi Tv8 del pianeta Sky) ha ignorato il codice quando si è trattato dei reality. Così Geordie shore, Gandia shore e Jersey shore hanno avuto per “eroi” giovani che «trascorrono il tempo fra alcol e rapporti promiscui» e parlano con «espressioni scurrili». Ma anche Canale 5 con il talent Tú sí que vales ha indotto «all’imitazione» – stigmatizza il Comitato – mostrando un concorrente che inserisce «un trapano funzionante in una narice».
Infine le serie televisive dannose: da Hannibal di Italia 1 per le «scene di violenza efferata» che non permettono «mai la distinzione netta fra il bene e il male» a Criminal minds di Rai 2 con «teste mozzate» e cadaveri di ragazzi, passando per Medium di Rai 4 in cui si narrano storie «crude e brutali» che possono «turbare i giovani spettatori».
LA DENUNCIA DEL COMITATO: ABBIAMO LE MANI LEGATE
È appena scaduto il mandato del Comitato Media e Minori, l’organismo chiamato a vigilare sulla “cattiva” televisione che danneggia i più piccoli. Ma il bilancio di tre anni di attività è magro. Su 401 casi esaminati, sono state accertate appena 25 violazioni al codice tv e ragazzi. I motivi? Le nuove disposizioni pro-televisioni varate negli scorsi anni, il taglio dei finanziamenti all’organismo di controllo da parte delle stazioni e la mancata sostituzione di alcuni consiglieri che non si sono mai presentati alle sedute hanno paralizzato i lavori. «È stato un triennio a basso voltaggio – spiega la sociologa Elisa Manna, consigliere dell'organismo –. Il basso numero di infrazioni appurate e l’assenza di promozione culturale in questo delicato ambito stanno a dimostrare che qualcosa non va. Molti casi sono stati archiviati perché l’attuale quadro normativo non favorisce la tutela dei minori ma gli interessi commerciali delle emittenti. Così le reti hanno potuto mandare in onda di tutto, da reality a luci rossi come quello con Rocco Siffredi a trasmissioni violentissime, senza correre alcun rischio».
È deluso anche Remigio Del Grosso, vice-presidente del Comitato e anche del Consiglio nazionale utenti (Cnu): «A tutto ciò si aggiunge il fatto che è stata accantonata una buona parte delle proposte di sanzione da noi inviate all’Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni». E prosegue: «Il vero freno alla nostra sfida è costituito da quel pacchetto legislativo che consente di trasmettere programmi vietati ai minori se l’emittente adotta il parental control. Un sistema che non annulla i pericoli per i ragazzi. Infatti non tutti i genitori sono così attenti nell’attivarlo; e alcune famiglie hanno apparecchi obsoleti che non lo includono». Manna svela alcuni trucchi per evitare grattacapi. «La classificazione dei programmi spetta alle emittenti. E alcune trasmissioni gravemente nocive sono state “declassificate” da chi le ha inserite nei palinsesti: quindi sono andate in onda senza problemi. Non solo. All’interno del Comitato è accaduto che le ipotesi di sanzioni avanzate dai rappresentanti dei telespettatori venissero messe spesso in minoranza». E Del Grosso fa sapere: «La progressiva defezione dei membri ha reso difficilissimo il raggiungimento del numero legale e rallentato di molto i nostri compiti». Poi una stilettata al gruppo Murdoch: «Sky a cui appartiene Cielo, tra le reti più segnalate per aver proposto programmi nocivi, non riconosce l’autorità del Comitato e non ha firmato il codice in vigore».
Proprio alla riforma del codice di autoregolamentazione è stata dedicata gran parte del trienno. «In realtà sono state le emittenti ad elaborarlo presso Confindustria radio-tv, senza alcun contributo del Comitato – tuona Del Grosso –. Il risultato è un testo molto lacunoso e sbilanciato verso le televisioni. Basti citare l’aumento del numero dei membri indicati dalle emittenti. Ciò sembra nascondere la volontà di bloccare l’organismo». Prosegue Manna: «Come utenti abbiamo potuto soltanto presentare alcune osservazioni al documento». Adesso il Comitato va ricostituito. Il ministero dello Sviluppo economico ha appena avviato la procedura iniziando a consultare il Consiglio utenti e le reti per individuare i quindici nominativi. «Sarà l’Agcom a indicare il presidente, ma serve coinvolgere il Cnu per evitare di avere una personalità condizionabile», sostiene Del Grosso. E Manna rivela: «È urgente aprire una nuova stagione per riscrivere insieme una legge-quadro ben più efficace. Anche perché, come testimoniano ricerche e studi, la tv è ancora centralissima nella vita dei ragazzi, nonostante vengano chiamati “nativi digitali”».