Dal cyberbullismo alla cittadinanza digitale: uno stimolo a riflettere sul ruolo delle agenzie educative nel favorire azioni positive di prevenzione, per rinsaldare in preadolescenti e adolescenti la consapevolezza degli effetti delle relazioni e interazioni nello spazio online.
Il cyberbullismo rappresenta oggi uno dei maggiori rischi nel complesso rapporto fra gli adolescenti e la Rete. È sotto gli occhi di tutti. Nessun ragazzo, però, nasce bullo o cyberbullo. E nessuna tecnologia è di per sé buona o cattiva. È troppo semplice demonizzare smartphone, social e tablet o ancor peggio puntare il dito contro i giovani di oggi. Quei ragazzi che un certo immaginario collettivo vorrebbe “privi di valori”, “frivoli” un po’ come i protagonisti dei più celebri teen-drama americani, interrotti, complessati e perennemente sull’orlo di una crisi di nervi. Che l’adolescenza sia un periodo complicato, si sa. Lo è per definizione. Ci siamo passati tutti. Ma i ragazzi d’oggi sono davvero così “superficiali”? No, non lo sono affatto. Sono semplicemente giovani che si trovano a dover crescere in un mondo e in una società ben più complessa e contorta rispetto a quella di qualche anno fa. Una società in cui individualismo, contraddizioni, senso di precarietà e conflitti istituzionali sono all’ordine del giorno. E vivere da adolescenti, in un contesto sociale simile, non è affatto semplice. Non lo è per gli adulti, figuriamoci per un dodicenne che deve fare i conti con un corpo che cambia e con la disperata ricerca del suo posto nel mondo. Allo stesso tempo è troppo semplice, persino stupido, lasciarsi andare ad un atteggiamento di diffidenza o panico morale nei confronti delle nuove tecnologie. Un ragazzo online non è in pericolo a priori. Lo è nel momento in cui viene lasciato solo con uno strumento talmente complesso (in una società ancor più complessa), che non è in grado di maneggiare. E allora, se vogliamo capirci davvero qualcosa quando affrontiamo il problema del cyberbullismo, se vogliamo individuare interventi e soluzioni più efficaci e sensate; forse, prima di affrontare la questione dei rischi online, è il caso di riflettere sulle origini sociali di tali rischi e contestualizzarli in una cornice socio-culturale più ampia. È necessario, allora, che torni al centro dell’attenzione la condizione degli adolescenti in quella che Beck (1986-2005) definisce la “società del rischio”, frutto dei mutamenti sociali contemporanei e comprendere come la “sperimentazione del rischio” sia parte integrante nel percorso di crescita di ogni adolescente nella vita offline, come in quella online. L’importante è che, ovviamente, tale sperimentazione rientri in quella che Vygostky (1978) definisce “zona di sviluppo prossimale”, che comprende quelle esperienze formative, che mettendo alla prova le capacità dei minori, le accrescono senza mai tradursi in pericoli veri e propri. La soluzione allora non sta nel puntare il dito contro le nuove tecnologie, o punire i ragazzi privandoli del loro smartphone o del loro tablet, ma nell’accompagnarli, passo dopo passo, in questa sperimentazione e crescita personale che oggi non può fare a meno della Rete e dei media digitali. Essere buoni genitori e bravi insegnanti nella società contemporanea non può prescindere da ciò. È arrivato il momento che tutti, secondo il proprio ruolo, si assumano la responsabilità rispetto a questo tema. Un genitore non può non conoscere i social network a cui il proprio figlio è iscritto, esattamente come pretende di essere informato sui luoghi fisici che lo stesso frequenta. E la scuola, se vuole davvero proteggere e aiutare i propri studenti, non può limitarsi al semplice sequestro degli smartphone durante le ore di lezione. E, soprattutto, è ora che scuola e famiglia tornino a fare pace, prima che i ragazzi perdano completamente fiducia nell’una o nell’altra istituzione. È ora che docenti e genitori facciano di nuovo squadra. Per questo, qualunque percorso di media education e di alfabetizzazione digitale, attivato al fine di affrontare il fenomeno del cyberbullismo, non può, in alcun modo, trascurare quelle agenzie di socializzazione come famiglia (genitori) e scuola (insegnanti ed educatori): che sono al centro della formazione identitaria dei minori e la cui “alleanza” è cruciale in qualunque azione di lotta al cyberbullismo. Una delle sfide più complesse per la media education, oggi, è ricostruire proprio quell’alleanza che sembra più che mai indebolita. In linea generale, l’avvento dei media digitali ha spinto gli studiosi a interrogarsi su nuovi possibili percorsi e paradigmi riguardo alla media education, al punto che si è sempre più fatto strada il concetto di digital literacy (alfabetizzazione digitale). Oggi, inoltre, questa non può non confrontarsi in modo specifico con l’ampia diffusione e il quotidiano utilizzo da parte dei minori dei social network, “luoghi pubblici mediati” (Boyd 2007), che hanno avuto un forte impatto sulla vita socio-relazionale dei ragazzi. Attraverso di essi questi, oggi, possono sperimentare relazioni importanti, “giocare con la loro identità” e vivere emozioni forti. E allora diventa sempre più urgente aiutare i minori, insieme a scuola e famiglia, a rispondere ad alcune domande cruciali (Ranieri e Manca 2013) quali: come posso gestire la mia identità e le mie relazioni nei social network? In che modo posso coniugare le mie esigenze di visibilità con il mio bisogno di tutelare la privacy e la mia sicurezza online? Fino a che punto posso fidarmi dell’autenticità delle informazioni che gli utenti condividono online? Aiutiamoli a trovare le risposte. E facciamolo insieme, se vogliamo sperare e meritare di essere davvero ascoltati dai ragazzi.
(di Rebecca Andreina Papa in Il Telespettatore, Anno 54° – n. 5/6/7 – Maggio/Giugno/Luglio 2017, p. 15)
fonte http://www.aiart.org/