Il sacerdote-social don Alessandro Palermo: non è comunicazione cristiana e sono prive di alcuna efficacia
Una pratica macabra e peraltro priva di efficacia. Diffidate sui social network dal partecipare ad eventuali “catene di Sant’Antonio” in cui vi viene chiesto di lasciare o recitare una preghiera dinanzi alle immagini di un bambino morto, pena il rischio di incorrere in una sventura.
Purtroppo, oltre ad essere macabra di per se’ (perché sfruttare l’immagine di un bambino volato in cielo prematuramente?), è una cattiva pratica che riceve anche tante adesioni dagli utenti di Facebook e le altre piattaforme social, pensando al fine nobile della preghiera.
«Credo che sia opportuno – premette don Alessandro Palermo, 29 anni, direttore dell’Ufficio per le comunicazioni sociali della diocesi di Mazara del Vallo ed esperto di social media – partire dalla considerazione che i social network, più che mode del momento, sono reali scenari che ci consentono di gestire la nostra rete sociale, come sostiene Giuseppe Riva, presidente dell’Associazione internazionale di cyberpsicologia e docente di Psicologia e nuove tecnologie della comunicazione all’Università Cattolica di Milano».
GESTIRE LA PROPRIA RETE SOCIALE
Pertanto, evidenzia don Alessandro, «le occasioni comunicative dei social media dovrebbero essere percepite con la stessa consapevolezza di quelle che sperimentiamo nel quotidiano vivere sociale». Anzi, «come sottolinea ancora Riva, i social servono proprio per gestire la propria rete sociale».
LE ABITUDINI DEGLI UTENTI
Inoltre, prosegue il giovane sacerdote, «ritengo sia importante cominciare a convincerci che i social “riflettono” le abitudini degli utenti: le bontà e le negatività, le ricchezze e le povertà presenti nella Rete, dipendono, infatti, soltanto dagli uomini (come evidenziano Ceretti e Padula in “Umanità mediale. Teoria sociale e prospettive educative”). Nel momento in cui accediamo a un social siamo tutti chiamati ad una sorta di responsabilità sociale».
Le cosiddette “catene di sant’Antonio”, risultano, quindi, «fuori luogo» per tre motivi:
1) IL BENE NON SI REALIZZA CON I LIKE
«Non sono “pratiche social”, ovvero non tendono a quei principi della comunicazione digitale: la partecipazione, la condivisione, la relazione – azioni che costruiscono la società – ma imitano quelle “logiche commerciali” (che si servono dei social solo per i propri interessi economici) perché in fin dei conti hanno come unico scopo quello di raggiungere un elevato numero di like e visualizzazioni. Il bene non si realizza con mille like o con tre mila visualizzazioni».
2) MESSAGGI MANIPOLATORI E ILLUSIVI
«Riflettono un’intenzione distorta e priva di significati perché inquinano la rete con messaggi manipolatori illudendo gli utenti che l’azione giusta da compiere sia quella di condividere quel determinato post, il più delle volte, ideato con immagini che per una questione di rispetto non dovrebbero essere postate. Rivoltella, in “Le virtù del digitale. Per un’etica dei media”, ci ricorda che il lasciare like, il condividere o il commentare post del genere esprime una forma di partecipazione a “bassa definizione”, un’azione che resta solo “inibita nella meta” senza produrre nulla di positivo».
3) NON SONO FORME CRISTIANE DI COMUNICAZIONE
«Tutte le catene sono sporche di motivi non autenticamente cristiani perché fanno leva alla sola emozione e non alla ragione, tendono alla minaccia augurando sventure a chi (intelligentemente) sceglie di non condividerle. Non possiamo definirle forme cristiane di comunicazione perché non c’è piena comunicazione quando manca la ragionevolezza e non c’è nulla di buono e di evangelico nei messaggi che intimano la sciagura. La comunicazione cristiana è, invece, portatrice di speranza, non si serve di nessuna catena manipolatoria ma si diffonde grazie alla forza del suo Messaggio. Pertanto, quando accediamo alla Rete, non perdiamoci nella ruggine di queste catene, ma facciamoci prossimi mettendoci in ascolto dei dolori e delle gioie delle tante persone che ogni giorno incontriamo lungo le nostre strade digitali».
SPERANZA E FIDUCIA
“Non temere, perché sono con te (Is 43,5). Comunicare la speranza e la fiducia nel nostro tempo”, è questo il tema per la prossima Giornata mondiale per le comunicazioni: «come cristiani, dunque – chiosa Don Alessandro – siamo chiamati ad abitare i social network diffondendo azioni comunicative che costruiscano la catena della speranza e fiducia!».