Papa Francesco apre la Quaresima con un messaggio vocale su WhatsApp e c’invita a riflettere
sulla nostra presenza in rete da svolgere come servizio nell’umiltà.
Televisione cattiva maestra, colpa del cellulare e i pericoli della rete. Sono alcuni dei luoghi comuni che implicitamente mettono gran parte del mondo adulto al riparo dall’idea che è giunto il momento di rimettersi in discussione ridefinendo confini e metodi dell’educazione in famiglia, a scuola, e persino in parrocchia. È sin troppo facile fare titoli a tutta pagina su tristi episodi di cronaca che coinvolgono gli adolescenti e che spesso hanno il web come “scena del crimine”. Dare la colpa alla tecnologia è la via più semplice per autoassolverci da gran parte delle nostre responsabilità. Eppure nel recente messaggio per la 50^ giornata per le Comunicazioni Sociali, papa Francesco avverte «Non è la tecnologia che determina se la comunicazione è autentica o meno, ma il cuore dell’uomo e la sua capacità di usare bene i mezzi a sua disposizione». Coerentemente con questa affermazione è senza dubbio significativa, oggi, a inizio quaresima, la scelta del Santo Padre d’inviare un suo messaggio vocale via WhatsApp. L’occasione è stata offerta dall’avvio dell’iniziativa “Keep Lent”, promossa e organizzata dal Servizio per la Pastorale Giovanile della Prelatura di Pompei, per annunciare il Vangelo quaresimale attraverso i social network.
Nell’anno giubilare della Misericordia una proposta alternativa al digiuno da Internet, che negli ultimi anni è spesso sembrato l’unica attività significativa per i giovani in quaresima. Il papa, forse, individua anche nei social network una porta santa da varcare per essere quella “Chiesa in uscita” a lui tanto cara. Domandiamoci, allora, che immagine emerge di noi nella Rete. Com’è il comportamento online dell’adulto insegnante, credente, catechista o religioso? Raccogliamo la sfida che Papa Francesco ci sta lanciando: sforziamoci di essere protagonisti attivi nella comunicazione online e offline, non rifugiamoci nel perbenismo o nel silenzio di comodo, ma sforziamoci di contribuire a difendere e a diffondere il bello, il buono e il vero che, senza il nostro contributo, rischiano di non diventare mai “popolari” e, per questo motivo, praticamente invisibili. Facciamo in modo che la nostra tiepidezza non sia il moggio sotto cui mettiamo la lucerna della fede che ci è stata donata. Tutto questo però non sia occasione di ricerca di gloria personale e autocompiacimento, ma servizio svolto nell’umiltà senza dare troppa importanza all’esteriorità, vivendo tutto al cospetto di Dio, senza ricercare il successo personale, ma accettando il rischio dell’incomprensione. L’invito è rivolto a tutti. Giovani e meno giovani: andiamo incontro all’umanità, valorizziamo il positivo, gettiamo ponti di dialogo e magari iniziamo scambiandoci un segno… “mi piace”.
Lorenzo Lattanzi (Presidente AIART Marche)